Saturday, 2 March 2013

“Race does not exist. But it does kill people.”


Partiamo da qui, dalle parole incisive di Colette Guillomin: la razza non esiste, eppure uccide.
La razza non è una realtà biologica. Che scientificamente parlare di razze umane non ha alcun senso lo sappiamo già da tempo. Tuttavia, le teorie razziali, che per secoli hanno dominato il pensiero occidentale, continuano a determinare la nostra percezione del mondo e il razzismo continua a fare vittime. Riconoscere l’esistenza del razzismo è cruciale e cruciale è soprattutto riconoscere la persistenza delle teorie razziali nelle narrative dominanti, nell’interazione sociale, nel linguaggio, nelle creazioni artistiche e nel discorso politico, in breve in ogni aspetto dell’attività umana. 
Il razzismo riguarda tutti e tutto e quindi tutti dobbiamo occuparcene e dobbiamo farlo fermandoci a riflettere su ogni suo aspetto e manifestazione. Sorvolare (soprattutto per chi, come bianco, si trova in una situazione di privilegio), cioè rifiutare di riconoscere le manifestazioni del razzismo in quanto tali e non prenderne sul serio le implicazioni, significa partecipare attivamente alla riproduzione del razzismo. Color blindeness (la negazione delle implicazioni del retaggio razzista sul posizionamento sociale degli individui) è un’attitudine oggi molto diffusa tra i liberali, in maggioranza bianchi. Questa attitudine, che produce la comoda illusione che il razzismo sia per lo più cosa del passato, in realtà non fa altro che sollevarci dalla responsabilità di agire in conseguenza di fronte ad un problema etico e permetterci di andare avanti ed usufruire dei nostri privilegi come se la cosa non ci riguardasse. In alternativa, la consapevolezza (racial consciousness, bias awareness, critical whiteness) offre l’unico percorso possibile di riflessione ed azione per il superamento delle disuguaglianze, non solo quelle prodotte dal razzismo.

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