Partiamo da qui, dalle parole incisive di Colette
Guillomin: la razza non esiste, eppure uccide.
La razza non è una realtà biologica. Che
scientificamente parlare di razze umane non ha alcun senso lo sappiamo già
da tempo. Tuttavia, le teorie razziali, che per secoli hanno dominato il
pensiero occidentale, continuano a determinare la nostra percezione del mondo e
il razzismo continua a fare vittime. Riconoscere l’esistenza del razzismo è
cruciale e cruciale è soprattutto riconoscere la persistenza delle teorie
razziali nelle narrative dominanti, nell’interazione sociale, nel linguaggio,
nelle creazioni artistiche e nel discorso politico, in breve in ogni aspetto
dell’attività umana.
Il razzismo riguarda tutti e tutto e quindi tutti
dobbiamo occuparcene e dobbiamo farlo fermandoci a riflettere su ogni suo
aspetto e manifestazione. Sorvolare (soprattutto per chi, come bianco, si trova
in una situazione di privilegio), cioè rifiutare di riconoscere le
manifestazioni del razzismo in quanto tali e non prenderne sul serio le
implicazioni, significa partecipare attivamente alla riproduzione del razzismo.
Color blindeness (la negazione delle implicazioni del
retaggio razzista sul posizionamento sociale degli individui) è un’attitudine
oggi molto diffusa tra i liberali, in maggioranza bianchi. Questa attitudine,
che produce la comoda illusione che il razzismo sia per lo più cosa del
passato, in realtà non fa altro che sollevarci dalla responsabilità di agire in
conseguenza di fronte ad un problema etico e permetterci di andare avanti ed
usufruire dei nostri privilegi come se la cosa non ci riguardasse. In
alternativa, la consapevolezza (racial consciousness, bias
awareness, critical whiteness)
offre l’unico percorso possibile di riflessione ed azione per il superamento
delle disuguaglianze, non solo quelle prodotte dal razzismo.
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